Banda ultralarga Italia, bicchiere pieno e vuoto

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Ci sono una buona e una cattiva notizia sul cammino della banda ultralarga Italia.

La cattiva notizia è che a dispetto della crescita degli investimenti da parte degli operatori, sul territorio nazionale risultano in aumento le aree bianche, quelle dove non vuole investire nessuno sulla banda ultralarga Italia poiché considerate a fallimento di mercato.

Stando ai dati forniti dalle telco alla in-house del MISE rispetto alle precedenti consultazioni (2015 e 2016) si registra la sostanziale assenza di crescita nelle intenzioni di investimento per le reti a 100 Mbps (23,07% al 2018 e 23,7% al 2020).

In discesa anche le intenzioni di investimento in infrastrutture a 30 Mbps (dal 47,52% al 2018 contro il 38,4% al 2020). Al 2020 ci si troverà – questa la conclusione a cui si è giunti a seguito della consultazione – con l’8,2% di aree bianche in più.

Vero è che Open Fiber – la società aggiudicataria dei due bandi Infratel per le suddette aree – ha appena avviato i cantieri e dunque i numeri, quelli della consultazione Infratel, non potranno restare gli stessi a lungo.

E poi c’è la buona notizia: il Cipe ha completato la dotazione delle risorse per il piano nazionale, assegnando al Ministero per lo Sviluppo Economico gli ulteriori 1,3 miliardi già individuati nella delibera 65 del 2015.

Un tesoretto non da poco se si considera che il Cobul (Comitato per la banda ultralarga) ha valutato 3,6 miliardi di Euro il fabbisogno per la realizzazione della fase 2 del piano, quella che servirà a spingere la domanda e soprattutto a estendere gli investimenti infrastrutturali nelle aree grigie, zone dove si concentra la maggior parte delle aziende.

In dettaglio, i 3,6 miliardi saranno finanziati dai risparmi delle gare già effettuate per le aree bianche, da risorse comunitarie ancora disponibili e, appunto, dagli ulteriori 1,3 miliardi di risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione.

La questione della domanda è rilevante.

E anche in questo caso ci sono una buona e una cattiva notizia. Secondo quanto emerso dalla relazione annuale Agcom, sebbene la copertura nazionale della banda ultralarga – calcolando le unità abitative raggiunte – nel 2016 sia balzata al 72% dal 41% del 2015, e sebbene gli abbonanti ai servizi siano passati in un solo anno dal 5% al 12%, i numeri al rialzo non bastano.

La media UE si attesta infatti al 37%. Allo sviluppo delle reti, dunque, non necessariamente corrisponde una maggiore penetrazione, e la situazione appare grave nelle aree rurali del Paese, come evidenzia la relazione dell’Authority.

Insomma, il bicchiere della banda ultralarga Italia è mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dei punti di vista, ma fatto sta che c’è ancora molta strada da fare.

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